Il beccamorto
Méter ìa, mettere via, traduce in forma eufemistica il concetto del verbo seppellire. Con il sintagma i l’àn metù ìa iér, lo hanno messo via ieri, si intende dire che qualcuno è stato sepolto da poco tempo. Di simile intonazione risulta la velata allusione: I l’àn cavezà ìa. Alla lettera: lo hanno ripulito. Il modo di dire deriva dal verbo cavezàr inteso come mettere a posto qualcosa. Quindi in senso traslato: lo hanno messo via per bene, ossia lo hanno sepolto. Secondo notizie attinte da Remo Bracchi, la sepoltura era definita in Oga, con il verbo semenér, seminare.
Il becchino viene chiamato con variegate formule dialettali più o meno ancora in voga: becamòrt (becamört a Livigno), bechìn, pizigamòrt, pizamòrt, sepelitór e suteramòrt. Il sostantivo pizamòrt è anche il nomignolo che viene affibbiato dagli abitanti di Madonna dei Monti a quelli del piano della Valfurva, ossia dei villaggi di San Nicolò e di Sant’Antonio.
In tempi antichi, fino cioè agli inizi dell’Ottocento, l’attività del becchino veniva svolta dal mónich o sagrestano il cui onorario era contemplato nella sua paga usuale. Poteva percepire qualche soldo in più dalle buone mani dei parenti del defunto. Dopo il periodo napoleonico, scomparve la figura di sagrestano-becchino e nacque la professione vera e propria del beccamorto. Quest’ultimo era il custode delle porte d’ingresso del cimitero e della camera mortuaria e a lui spettava il compito di scavare le fosse, calare “con decenza, rispetto e precauzione” il cadavere e riempire di terra la fossa stessa. Il becchino veniva retribuito direttamente dal comune e recepiva, verso la metà dell’Ottocento, 3 lire per la sepoltura di ogni adulto e una lira per ogni bambino al di sotto dei sei anni. La paga del becchino divenne poi una retribuzione annuale che si rimpinguava in seguito al numero di tumulazioni. Nel 1884 il seppellitore percepiva, oltre al suo stipendio fisso, 30 centesimi in più per ogni tumulazione (ASag). Negli anni quaranta del secolo appena scorso il becchino e custode del cimitero riceveva dal comune £ 850 l’anno; in occasione di ogni funerale l’arciprete elargiva al beccamorto £ 15 per le esequie di seconda classe (i funerali di prima non si eseguivano praticamente mai), £ 10 per un funerale di terza, £ 5 per un funerale di quarta e lo stesso compenso nel caso di un funerale de un àngel, di un bambino. Queste informazioni le ho attinte da Piero Secchi il quale aiutava spesso il padre che fu custode e becchino, insieme al fratello Raineri, del cimitero presso Uzza dal 1926 al 1942. Il mio commento in relazione all’aumento della paga per ogni tumulazione fu ovviamente il seguente:
– Ilóra l’èra cuntént quàn che al morìa tanta gént inséma. Allora era contento quando morivano più persone contemporaneamente.
Questi mi rivelò inaspettatamente:
– Miga tant perché l’èra ‘na gran fadìga far ó un böc’ de 1.80, péna per quàtro franch in più… Non proprio, perché costava tremenda fatica scavare un buco di un metro e ottanta di profondità solo per quattro soldi in più…
Estratto da Marcello CANCLINI, I riti (parte seconda de La morte), pp. 67-68.