Al cròda la pigna
A Bormio e nelle valli l’é saltà (tracà) ió ‘l fórn, alla lettera è crollato il forno, è una metafora corrente per significare che una donna ha dato alla luce la propria creatura. L’immagine è presa dai tipici forni casalinghi con struttura aggettante e rotonda come la pancia di una mamma in attesa (Bracchi, Parlate 12). Un altro modo bormino per indicare l’imminente nascita di un bambino si concretizza in una reminiscenza campestre: Al cròda al furmént, cade il frumento. Anche a Pedenosso si ripeteva: Quan che l’é madùr, al cròda al formént.
A Isolaccia l’imminenza della nascita di un nuovo piccolo era annunciata al padre in questo modo: Van, perché al cròda la pìgna. Va’ in fretta (a casa dalla moglie), perché sta crollando la stufa. Nello stesso villaggio Gina e Oreste rammentano l’antico detto a cròda l’invòlt, crolla l’involto. Più grossolanamente a una donna che rischiava di abortire si diceva: Mét al cögn, che al sàlta ó l’invòlt. Metti il cuneo, che sta cadendo la volta. A Sant’Antonio Morignone in Valdisotto le locuzioni l’é crepà al furnèl, l’é tracà ó al furnèl, al s’é sc’ciopà al furnèl, indicano tutte in senso figurato il parto di una madre. Nel dialetto locale furnèl sta per pìgna.
A Trepalle la nascita veniva descritta con la frase l’é gì ó al cantón del bàit, è crollato l’angolo della casa, forse perché il letto della puerpera era collocato nell’angolo della stanza. Palmina mi raccontò, a tal proposito, un curioso episodio. Al g’àra un Bormìn che al fàa al cò d’alp in Valècia e l’àra familiàr, al vegnö per bàita. Un dì l’incóntra al mè pa e al ghe domanda: E iór co vàla, Pómo, la vita? Al pa al risc’pónt: Madòna ma sèt bic’ che al m’é saltè ó al cantón del bàit? E lu: Fèt vedér: Indóe? C’era un bormino responsabile dell’alpeggio di Vallaccia ed era un tipo che frequentava spesso la nostra casa. Un giorno incontrò mio padre al quale domandà: Come va la vita, Napomoceno? Questi rispose, Madonna mia, ma non sapete che cosa mi è successo? È caduto l’angolo della casa! Fate vedere, fate vedere. Dove? Chiese il bormino tutto preoccupato… Non sapeva che era nato un piccolo marmocchio.
In Valdidentro quando le donne partoriscono si dice che li śg’vöiden al sach, svuotano il sacco. Le madri alla visita della levatrice non erano solite domandare la data presunta del parto ma, usando il loro gergo, chiedevano: Quando śg’vöidaréi al sach?
A Pedenosso di una donna che partoriva si commentava: L’è molè al sach. Curiosamente śg’vöidàr al sach significa anche confessarsi. Nella stessa vallata gnur a ségn, concludere, indica ugualmente partorire. A Semogo Palmira, raccontando del suo parto, si espresse: Són gnùda a ségn nóma la séira. Ho partorito solo la sera.
A Livigno la nascita veniva descritta con la locuzione eufemistica gnùr al dì, venire alla luce, corrispondente all’espressione usata nel gergo dei calzolai solcàr a la lèuta.
Fino ai primi decenni del secolo il sintagma era ancora vivo anche a Bormio, cristallizzato nell’originario genere femminile della voce: gnur a la dì. Queste espressioni colorite vennero coniate espressamente per celare, soprattutto ai bambini, un fatto ritenuto quasi vergognoso e, per falsa pudicizia, considerato immorale. Non ci si esprimeva che in modo larvato, perché i sc’tàan tüc’ aténta a parlér de quìli ròba, i piacàen ìa tót, perché nessuno parlava di quelle cose, nascondevano tutto. (…)
Estratto da Marcello CANCLINI, Nascita e infanzia, pp. 56-58.