Memorie dell’Aria in Alta Valle


Un “divertissement” a mo’ di presentazione

 

Nel novero delle iniziative culturali connesse alle giornate cardiologiche bormiesi la più significativa consiste nella pubblicazione o ristampa di opere scritte da personalità che in passato hanno dato lustro alla Magnifica Terra.

Un recupero delle glorie bormine in senso dinamico il cui approccio critico, riverberantesi sull’attualità, è stato affidato a prestigiosi accademici specialisti nell’ambito delle discipline storico-giuridiche, economiche, linguistico-letterarie ed etnografiche.

Si è così dato vita a una collana “La Reit”, giunta ora al suo ventunesimo titolo e arricchitasi nell’ultimo quadriennio di miscellanee cui hanno contribuito massicciamente studiose e studiosi gravitanti attorno al Centro Studi Storici Alta Valtellina.

Questa svolta avvenne nel 2014 quando si decise di porre all’insegna di ciascuno dei quattro elementi primordiali, teorizzati dalla filosofia presocratica, la consueta tematica d’interesse culturale destinata ai cardiologi nel momento introduttivo al loro corso di aggiornamento primaverile a Bormio.

Dopo il passaggio dall’acqua al fuoco, l’analisi dello scorso anno si focalizzò sulla terra, elemento archetipo della natura indagato quale elemento federatore di una riflessione critica particolarmente incentrata su una molteplicità di sfaccettature (storiche, antropologiche, geografiche) di carattere localistico, introdotte dall’abituale saggio di Remo Bracchi sulle implicazioni linguistiche legate alla terra, radice primordiale e unitaria dell’esistenza di tutte le cose.

Una coralità di contributi accomunati da accuratezza d’indagine e ricchezza documentaria che indusse il prefatore Guglielmo Scaramellini a salutare la nascita di un cenacolo bormino di cultori di memorie e di attualità patria.

Questo lusinghiero ed esaustivo apprezzamento ci suggerì allora un’insolita presentazione della miscellanea ispirata al paesaggio della Magnifica Terra.

In mancanza d’immagini che documentassero visivamente la conca di Bormio, specie nell’epoca medievale, si sopperì con impressioni tratte da frammenti descrittivi di noti autori locali dal Settecento ai nostri giorni.

A quell’insolita presentazione se ne ripropone una nuova in guisa di divertissement. I quattro elementi posti dagli antichi alla base dell’ordine delle cose sono qui associati ad altrettanti autori che trovano ospitalità nella collana La Reit, primo fra tutti don Ignazio Bardea, storico e umanista.

Stupisce che nella galleria di personaggi antichi e moderni con i quali l’ecclesiastico bormino aveva intrecciato un dialogo intellettuale nel suo Spione chinese non figuri Giambattista Vico, mentre invece insistito da parte del Bardea vi è il richiamo al conterraneo filosofo ed economista campano Antonio Genovesi. Omissione forse imputabile alla scarsezza di risonanza dell’opera del Vico fra i suoi contemporanei in larga parte impreparati a coglierne appieno la genialità.

Al Bardea probabilmente non sarebbe dispiaciuta la concezione che permea di sé La Scienza Nuova dove l’uomo è protagonista della sua storia che, se pure regolata dalla divina provvidenza “regina” delle vicende umane, è una storia saldamente ancorata all’evoluzione delle idee e all’organizzazione della vita sociale.

Una storia dell’uomo eretta a scienza e la cui costante, scandita sulla nota triade dei corsi e ricorsi storici, costituisce le tappe dello sviluppo umano che, giunto all’apice, corrompendosi, ricade in basso per dare l’avvio a una “nuova barbarie”.

Ci piace anche pensare che in questo suo ripetersi continuamente dallo stadio primitivo degli uomini che “sentono senza avvertire” a quello più evoluto in cui “sentono con animo perturbato e commosso”, per poi “riflettere con mente pura e dispiegata”, lo storico bormino avrebbe preso atto di appartenere, come lo stesso Vico, all’età nella quale gli uomini si riconoscono “essere uguali in natura umana” e agiscono alla luce della ragione.

Il Bardea fu valente cultore di scienza storica ma anche raffinato versificatore. L’amore per la poesia lo ha accompagnato lungo tutta la sua esistenza. Frutto di quest’arte versificatoria è una straripante produzione poetica di occasione che gli valse la nomina a censore dell’ Accademia bresciana degli “Erranti”.

Soltanto nelle poesie dell’età matura si avverte il superamento dello stile arcadico in versi ispirati d’intonazione preromantica, forse non molto lontana quest’ultima dall’interpretazione vichiana della poesia come atto creativo ove la sensibilità prevale sul raziocinio e si realizza nel “dare senso alle cose insensate”.

Continuando con il flusso dei rimandi alla Scienza Nuova, il Bardea, nel limitato quadro storico del contado di Bormio dopo l’annessione alla Repubblica Cisalpina e la conseguente abolizione degli antichi privilegi, avrebbe vichianamente interpretato lo scenario dell’imminente decadenza dell’amata Patria bormiese come il segno ineluttabile di una “nuova barbarie” subentrata per germe di corruzione e crisi economica a una gloriosa “democrazia” che nell’arco di sette secoli aveva sempre strenuamente difeso la sua autonomia contro l’aggressore di turno.

 

 

L’acqua

 

Ignazio Bardea fu un autore prolifico, un poligrafo nell’accezione più alta del termine. Scrisse con straordinaria versatilità intorno a molteplici argomenti senza dominare sempre la materia. Con sistematicità accumulò un immenso materiale ove sono conservate intatte le memorie dei secoli passati. Pagine manoscritte ancora inedite ma che la passione e la competenza di cultori e cultrici di storia locale stanno ora sottraendo alla polvere degli archivi. Una poderosa opera storiografica che lo addita come maggior storico del Contado di Bormio.

In conformità con l’assunto di partenza l’“acqua”, elemento primordiale che governa ogni forma di vita sulla terra, è il comparante d’obbligo per il Bardea. Acqua come energica fonte d’ispirazione per le sue liriche, ma soprattutto come fonte documentaria.

Al “monumento storiografico” del Bardea hanno infatti attinto tutti gli studiosi dell’Alta Valtellina, ora rivolgendo all’autore un grato pensiero, ora utilizzandone disinvoltamente l’opera senza una pur minima citazione.

Nel suo “Spione” un intero capitolo è dedicato alle acque sgorganti calde e fumanti dalle pendici della Reit e che richiamavano alle terme bormiesi una ricca, dotta e cosmopolita clientela.

Nell’accogliente “grande stuffa” dei Bagni di Bormio lo spione bardesiano soleva abbandonarsi al piacere della lettura e a quello, non meno gratificante, della conversazione con scelti ospiti delle terme. Tra questi interlocutori è ravvisabile nella “gentile persona colta e riservata nel suo tratto ed incapace di menzogne e vigliacca finzione” il nobile bormino Alberto De Simoni al quale il Bardea era legato da vincoli famigliari e con cui condivideva l’ appartenenza a quella che i posteri ricorderanno come l’“epoca d’oro del Bormiese”.

Storico, filosofo, giurista, egli ne fu il rappresentante più illustre. Profondamente impregnato del sentire culturale del suo tempo, l’aristocratico bormino seppe fare convivere nella sua professione di giureconsulto il pensiero illuminista e la robusta fede cristiana.

Queste le sue qualità peculiari: acutezza d’ingegno, finezza di giudizio e originalità propositiva. Furono apprezzate da Napoleone che lo chiamò “la mia volpe montanara”.

 

 

Il fuoco

 

Per quanto attiene al nostro divertissement il De Simoni è identificato nel “fuoco” qui riproposto, rispetto all’elemento archetipo, nel suo valore di luce, calore, energia, creatività.

Giovane avvocato, restituito alla sua patria, egli non riuscì con le sue argomentazioni a sottrarre alla forca un ladro colpevole di alcuni furti semplici. Da qui il fermo proposito di porre tutte le sue forze al servizio di una radicale riforma della giurisdizione penale. Scrisse allora Del furto e sua pena, prima trattazione scientifica di questo reato dove il Bardea ricorda l’inascoltato appello al senso di umanità e al diritto di natura contrari alla pena di morte. Parole scritte con il fuoco: “Mi si aprivano avanti le municipali leggi barbare ed inumane … ammasso di disordinati ordini stabiliti da un popolo rozzo e idiota, da un popolo condotto e guidato da’ pregiudizi bevuti quasi con il latte, da un popolo sempre immerso in interne ed esterne discordie e guerre”.

Non meno sferzante l’invettiva rivolta ai bormini sordi al suo piano di risanamento economico del bilancio comunale. La passione civile cedeva allora il posto a un’impetuosa apostrofe: “paese ingrato e sconoscente, che non sa distinguere il vero merito dall’impostura, che non sa stimare che chi lo tradisce, e lo inganna, dove regna la doppiezza e la finzione”.

Ardore politico che lo indusse a erigersi a difensore dei valtellinesi contro i grigioni dimostrando nel suo Prospetto storico che questi ultimi non si trovavano in uno stato di sudditanza, bensì di “reciproca e scambievole soggezione”. Libello che gli valse la condanna a morte da parte del Principe grigione e la conseguente fuga a Milano.

Infine l’energia dispiegata nell’azione della sua attività forense. Il Bardea esercitò l’avvocatura con successo nella Rezia e nei territori confinanti al di qua delle Alpi. Ne fanno fede i numerosi fascicoli delle cause trattate consultabili presso la biblioteca Pio Rajna di Sondrio.

 

 

La terra

 

Negli anni in cui alla dominazione francese subentrò quella austriaca Bormio diede i natali a due valorosi naturalisti: Martino Anzi e Massimo Longa. Rispettivamente maestro e discepolo, con le loro splendide collezioni supportate da monografie scientificamente rigorose sulla flora regionale inferiore (Anzi) e superiore (Longa), essi fecero conoscere il patrimonio floristico del Bormiese raccogliendo il plauso delle società italiane di scienze naturali e delle analoghe istituzioni d’Oltralpe.

Martino Anzi è riconosciuto come uno dei più accreditati studiosi dei licheni, ottimi indicatori ambientali non reperibili in ambienti inquinati e una cui specie “cetraria islamica”, abbondante sui nostri monti, è tuttora impiegata come calmante della tosse.

 

L’allievo Massimo Longa apprese i primi rudimenti di botanica accompagnando il maestro nelle peregrinazioni sui monti dell’Alta Valle. Ne completò l’opera orientando l’indagine verso la flora superiore sfociata nel suo lavoro di maggior respiro Die Flora von Bormio scritta in collaborazione con Furrer, noto botanico elvetico.

Riteniamo pertanto che entrambi meritino di essere associati, nel nostro gioco di riferimento ai quattro elementi naturali, alla “terra” rappresentata attraverso le lunghe “barbe” che scorgiamo pendere dai rami delle conifere. Sono gli umili licheni, pianta perenne che predilige il legno, il sasso, le zone erbose e che si inerpica su, su, verso il limite dei ghiacciai dove non alligna nessun altro vegetale.

Rappresentativa della “terra” è soprattutto la bellissima flora del Bormiese. Registra più di mille specie accuratamente raccolte e descritte da Massimo Longa quale espressione “più viva e più vera” del paesaggio bormiese perché, secondo lo storico Tullio Urangia Tazzoli (legato al botanico da sentimenti di profonda amicizia e ammirazione), specialmente nella flora “la natura cantava in tutte le sue gamme di colori, di luci e di profumi, nella sua parte più bella, più visibile”.

 

 

L’aria

 

Proprio negli anni che facevano storicamente da sfondo all’audace impresa di Pietro Pedranzini, una nutrita schiera di pionieri dell’alpinismo aveva preso a conquistare sistematicamente le nostre montagne. Erano per lo più intellettuali e aristocratici provenienti dall’Inghilterra e dalla Mitteleuropa. Molla di spinta la passione per la montagna vissuta come gusto dell’avventura, sfida, gioco, anelito dell’elevatezza, ma soprattutto come cultura viva e in quanto tale parte integrante della vita.

Nel suo contributo Raffaele Occhi rivisita questi personaggi attraverso frammenti delle loro memorie il cui tratto comune è la letterarietà: una scrittura fluida, tersa, precisa, sempre sorvegliata, talvolta lirica dove è facile cogliere nell’insistente richiamarsi alla sfera sensoriale l’influsso del coevo simbolismo.

L’estensore dell’articolo ha fatto sua la suggestione baudelairiana individuando nell’“aria” i segni distintivi che la caratterizzano. Egli inanella così un crescendo espressivo di sette aggettivi volti a sottolineare le corrispondenze nascoste legate all’aria in termini di sensazioni visive, uditive, olfattive e sonore. Una generalizzata capacità di percepire queste intime connessioni che si affida al gioco retorico della sinestesia.

Nell’economia di questa presentazione l’accostamento dell’aria, (energia vitale associata particolarmente al respiro e ultimo dei quattro elementi naturali presi in esame) ci è sembrato fosse calzante con la figura del cittadino combattente bormino Pietro Pedranzini.

Il Club Alpino Italiano era nato sei anni prima della sua impresa e Bormio poco dopo ne avrebbe ospitato il VI Congresso nazionale nel quale il Pedranzini probabilmente fu coinvolto in virtù delle sue funzioni di segretario comunale. Egli poté quindi confrontarsi con alpinisti per i quali l’andare per monti, oltre ad essere un “affascinante passatempo” (così lo chiamerà Massimo Mila), andava configurandosi come professione.

Il Pedranzini praticava questa attività da cacciatore di camosci abituato a spingersi sino alla cresta dei monti e a conoscerne tutti i passaggi. Sapeva muoversi agevolmente su terreni alpestri e possedeva il dono di “annusare l’aria”, di leggere in anticipo le condizioni meteorologiche, e di percepire l’avvicinarsi del vento.

Erminio Sertorelli, pronipote per parte materna, intervistato in merito all’aria quale comparante associato all’eroe bormino, ha approvato la nostra scelta. Da guida alpina egli riconosce al trisavolo, oltre alla note qualità di vero capo, quella di gran camminatore. Questi seppe amministrare fisiologicamente lungo il percorso compiuto l’11 luglio 1866 (Bormio, Le Prese, nuovamente Bormio, risalita del bosco e attacco alla parete) una grande quantità di ossigeno.

Nell’arco di quella lunga e gloriosa giornata l’aria cambiò molte volte: pesante durante l’umidità della notte specie quando il drappello di volontari penetrò nel bosco sotto le rocce. Più fresca e tonificante con il primo fiato dell’alba. Rarefatta lungo la salita del canalone che termina in cresta poiché salendo l’ossigeno diminuiva e vi era bisogno di aria.

Infatti alcuni volontari che sino a quel momento avevano camminato a passo sincrono, evitando così di far cadere materiale detritico sulla testa di chi li seguiva, sentirono mancare il fiato. Per poterlo riprendere, Pietro Pedranzini ritenne opportuno concedere loro una pausa ristoratrice.

Il pronipote Erminio in occasione del 150° anniversario ha ripetuto con un piccolo gruppo di alpinisti il percorso dell’eroe. Ci ha confidato che in prossimità del passo si sentì schiaffeggiare da una fresca brezza. Sensazione quasi tattile sicuramente condivisa dal suo trisavolo poiché in quel punto il vento che vi soffia è originato dalla differenza di temperatura tra i due versanti della Reit.

La montagna è notoriamente il regno del silenzio, rotto quel giorno dal fragore dei sassi fatti rotolare a valle per impedire la ritirata degli austriaci e dal crepitio del fuoco di fila che accolse il Pedranzini in prossimità della prima casa cantoniera. Non è forse del tutto errato pensare che in mezzo a tutto quel frastuono risuonasse ferma la voce del luogotenente bormino che impartiva ordini ai suoi uomini prima d’intimare la resa al nemico.

 

Il congedo vuole essere un ringraziamento rivolto al cenacolo bormino che ha affrontato l’ultimo degli elementi primordiali presi in esame con saggi di diversa indole, ma accomunati da accuratezza nell’ indagine e, in taluni casi, pregevole ricchezza documentaria.

Sentito, il grazie al geostorico di riferimento e alla geofilosofa che aprono e chiudono il presente volume. Offrono al lettore due contributi di assoluta eccellenza, vicini per tematica ai poli attorno ai quali si coagula preferibilmente la rispettiva ricerca.

Rituale, ma non per questo meno sincero, il ringraziamento indirizzato al bormino dott. Mario Alberto Pedranzini, consigliere delegato e direttore generale della Banca Popolare di Sondrio per il generoso contributo.

Infine l’auspicio che, doppiato il capo della venticinquesima edizione, il simposio cardiologico bormiese abbia sempre a continuare, mantenendo al tempo stesso inalterata la formula che sino ad ora ha contraddistinto la sessione introduttiva.

Leo Schena, Livio Dei Cas